Al nostro bimbo sono spuntate le ali intorno alle 2.30. I nostri cuori sono spezzati. Grazie a tutti per il sostegno”, scrive mamma Kate. “Il mio gladiatore ha posato lo scudo e si è guadagnato le ali. Abbiamo il cuore spezzato. Ti voglio bene ragazzo mio”, sono le parole commoventi del padre Tom. Un ultimo disperato appello ai sostenitori dell’Alfie’s Army, a mandare “preghiere” e “100 profondi respiri al nostro guerriero” era arrivato nella notte, sempre via Facebook, da Sarah Evans, zia del bambino. La giornata di ieri era trascorsa apparentemente senza novità, con i genitori, Tom e Kate, ormai rassegnati alla fine delle speranze di un trasferimento in Italia e impegnati a dialogare con i medici dell’ospedale Alder Hey di Liverpool sulla possibilità di riportarlo a casa. Si è chiusa dunque nel modo più amaro per i genitori di Alfie, Tom e Kate, i due generosi ragazzi inglesi del popolo poco più che 20enni, la battaglia per cercare di dare una speranza al loro piccolo: il bambino di nemmeno due anni era stato colpito da una grave patologia neurodegenerativa non diagnosticata esattamente che aveva come spento una parte del suo cervello, pur senza ridurlo mai all’incoscienza totale. Una battaglia legale, e di opinione pubblica, durata quasi sei mesi. A innescarla, la richiesta dei medici dell’ospedale pediatrico Alder Hey di Liverpool, convinti che non ci fosse più nulla da fare e che ogni cura fosse ormai “inutile”, di staccare la spina. Un atto a cui Tom e Kate si sono opposti fin da subito, ma senza riuscire a spuntarla. Forte della legge britannica, lo staff ospedaliero si è rivolto già a dicembre del 2017 ai tribunali del Regno, che in una serie di sentenze – a partire dal verdetto chiave emesso dal giudice dell’Alta Corte britannica Anthony Hayden a febbraio – hanno ripetutamente dato il via libera agli uomini in camice bianco e hanno sempre risposto ‘no’ ai genitori.
